C.di S. Sent. n. 3060/18. Conferma della legittimità del decreto n. 109/2013 ed i suoi diversi decreti succedutisi a partire dal 2013, concernenti il processo di riassetto della rete dei laboratori privati accreditati.

Il C. di S. non trova restrizioni concorrenza nè sul modello di aggregazione nè può legittimare a consentire la possibilità di svolgere l’attività in forma aggregata, mantenendo cioè la propria autonoma individualità. Neppure la riforma mortifica l’attività di Biologo. Per i Giudici di Palazzo Spada si sono lasciate le singole strutture libere di costituire l’aggregazione come meglio ritenevano. Insomma per la complessità delle argomentazioni si riporta l’intera sentenza ma che in ogni caso sui punti argomentati dai giudici molte zone d’ombra restano soprattutto per le garanzie dei cittadini.

L’unico punto che la sottoscritta difesa non ha impugnato, in quanto favorevole in primo grado, resta ed è quello passato in giudicato sulla sentenza del TAR  Napoli n. 04655/2016, ovvero, il capo che tratta lo spoke: “Riguardo ad un possibile pregiudizio per il diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione derivante dal nuovo sistema organizzativo, osserva il Collegio che, oltre a restare indimostrata una minore qualità del servizio di medicina di laboratorio sotto il profilo di uno scadimento dell’attività analitica, relativamente alla posizione del paziente – sia come assistito del SSR, sia come soggetto privato – il mantenimento di strutture preesistenti con funzioni di spoke, cioè incaricate dello svolgimento di attività sia preanalitica, quali punti di prelievo dei campioni analitici, sia post analitica per la consegna dei referti, consente ragionevolmente di escludere qualsiasi vulnus per tale diritto fondamentale della persona, anche dal punto di vista del mero disagio o di un aggravamento delle condizioni di fruizione”.

Per il resto il C. di S. sostiene che “Non si ravvisa alcuna lesione del principio comunitario e nazionale della concorrenza a tal proposito, in quanto ex art. 106, par. 2, T.F.U.E., l’ordinamento comunitario non vieta in via di principio la costituzione di monopoli pubblici, in materia di servizi d’interesse economico generale, imponendo piuttosto che le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale siano sottoposte alle regole in tema di concorrenza, ma solo “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”(cfr. Consiglio di Stato sez. VI 07 febbraio 2014 n. 585).

3.§.3. Con la censura rubricata sub “XII si lamenta che il decreto n.83/2016 avrebbe mortificato l’attività professionale dei biologi che sarebbero limitati nello loro attività professionale in quanto avrebbe stabilito che, in caso di mancanza di requisiti della soglia minima, si sarebbe determinata l’incapacità operativa anche per le analisi private senza che vi sia alcuna norma a tale riguardo. Il decreto che introduceva l’obbligatorietà dell’accorpamento avrebbe ridotto i termini di libera scelta per l’esercizio dell’attività sanitaria. Erroneamente la sentenza avrebbe affermato che sarebbe mancata la libera concorrenza economica.

Del tutto singolare poi appare la pretesa illegittimità della mancata regolazione delle modalità di costituzione delle aggregazioni tra i laboratori, in quanto giustamente si sono lasciate le singole strutture libere di costituire l’aggregazione come meglio ritenevano”.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3088 del 2017, proposto da
Check Up Analisi Cliniche di Maggiora Andrade Fonseca Nelida Do Rosario, Castaldo Rosita & C. Sas, Analisi Cliniche Biogen del Dott. Antonio Castaldo & C. Sas,, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Filomena Sirica, Luigi Ferrara, domiciliato presso la Cons. Di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

contro

Regione Campania, Commissario Ad Acta p.t. per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario non costituiti in giudizio;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Gen.le Dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Asl Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Valerio Casilli, Walter Maria Ramunni, domiciliato presso la Segreteria III° Sezione Consiglio Di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

nei confronti

Conferenza Permanente Rapporti Stato, Regioni, Province Aut. Trento e Bolzano, Min. Salute, Pres. Cons. Ministri non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 04655/2016, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero della Salute e di Asl Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Luigi Ferrara, Maria Filomena Sirica, Valerio Casilli e l’Avvocato dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente gravame il Laboratorio chiede la riforma della sentenza con cui il Tar Campania ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento del decreto n. 109/2013 avente ad oggetto i diversi decreti succedutisi a partire dal 2013, concernenti il processo di riassetto della rete dei laboratori privati accreditati.

L’appellante, dopo aver riepilogato il contenuto dei provvedimenti gravati innanzi al TAR ed i cinque motivi introdotti in primo grado, deduce l’erroneità della sentenza sotto diversi capi di doglianza.

L’ASL di Salerno si è solo formalmente costituita in giudizio.

Con memoria difensiva in data 26 giugno 2017, si è costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio per il Commissario Straordinario per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanità della Regione Campania e per il Ministero della Salute, eccependo:

— in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per la presenza di numerosi motivi introdotti nell’ambito della descrizione del fatto in violazione dell’articolo 3 comma 2 del c.p.a.;

— nel merito, che la previsione normativa del limite dei 200.000 esami di laboratorio dell’anno, era stata legificata con l’articolo 79, comma uno-quinques del d.l. n. 112/2008.

L’istanza cautelare, alla camera di consiglio del 27 giugno 2017, è stata rimessa al merito su richiesta dell’appellante.

Uditi all’udienza pubblica di discussione i difensori delle parti, l’appello è stato ritenuto in decisione dal collegio.

DIRITTO

1.§. In linea preliminare si deve dichiarare sotto due profili l’inammissibilità dei “motivi intrusi” inseriti da pag. 1 a pag.12 dell’appello.

Come esattamente eccepito dalla Difesa Erariale si tratta di censure che, in violazione dell’articolo 3 comma 2 del c.p.a., sono indebitamente incluse ed inframmezzate alla narrazione dello svolgimento del processo di primo grado e costituiscono una mera ripetizione delle censure del ricorso in primo grado.

Per la restante parte l’appello è comunque infondato.

2.§. Per ragioni di economia espositiva devono essere esaminati congiuntamente le due censure di cui alle doglianze rubricate al punto VII° e X°.

2.§.1. Con la prima censura del presente gravame (punto VII°), l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza in quanto:

a) vi sarebbe stata l’omessa analisi delle censure e, comunque, sarebbe stato inesatto affermare che i decreti commissariali, via via succedutisi, fossero collegati da “uno stretto rapporto di sequenzialità temporale caratterizzato dall’identità di oggetto, contenendo tutti specifici precetti relativi della nuova disciplina organizzativa della rete dei laboratori, alcuni a contenuto meramente confermativo altri modificativi, anche in misura consistente, di determinate prescrizioni”.

Invece l’appellante avrebbe inteso procedere ad un’azione di annullamento separata per ciascuno dei diversi decreti impugnati, il che avrebbe richiesto una specifica statuizione sul merito di ciascuna censura mossa.

b) erroneamente il Tar:

— avrebbe affermato che non sussisteva alcun obbligo di motivazione degli impugnati atti di programmazione e di macro-organizzazione, dato il loro elevato contenuto discrezionale;

— avrebbe escluso la possibilità di sindacare nel merito le censure afferenti ai risultati dell’azione amministrativa.

In realtà, secondo l’accordo Stato-Regioni, le strutture di laboratorio esistenti avrebbero dovuto assicurare un’adeguata distribuzione territoriale del servizio, mentre il piano avrebbe finito per favorire la posizione dominante di pochi laboratori, imponendo un sistema di fatturazione minimo che sarebbe illegittimo per violazione del secondo comma degli artt. 41 e 42 del D.lgs. n.163/2006, che aveva fissato il limite del rispetto del principio di proporzionalità e ragionevolezza;

c) inoltre non avrebbe fondamento l’affermazione della presunta “doverosità di procedere al riassetto della rete dei laboratori come obiettivo primario di contenimento della spesa e di miglioramento della qualità prestazionali”.

Per dimostrare il carattere non discriminatorio la Regione avrebbe dovuto effettuare un’istruttoria, coinvolgendo gli ordini professionali, le professionalità scientifiche e gli enti esponenziali delle categorie dei biologi, dei medici e dei dipendenti.

2.§.2. Con la settima censura del presente appello (rubricata sub X), diretta avverso il decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016, si riprendono gli stessi profili di doglianza di cui sopra (esistenza dell’accreditamento, incompetenza del commissario ad acta, mancanza di economie di scala, soglia minima come requisito di accreditamento, disparità di trattamento tra laboratori privati, necessità della valutazione del fabbisogni, ecc.).

La sentenza apoditticamente rigetterebbe la dedotta illegittimità dell’esclusione dal servizio nazionale delle strutture sotto soglia per l’asserita inammissibilità e per genericità dei motivi addotti. L’appellante:

— assume la mancata prova della permanenza della situazione critica relativa alla inesistenza di piani attuativi di attuazione;

— contesta che si sarebbe realizzato un risparmio di spesa;

— lamenta la mancanza di una regolamentazione delle aggregazioni;

— assume la disparità di trattamento che il sistema delle aggregazioni genera per i centri di prelievo logisticamente distanti dai laboratori di analisi veri e propri.

2.§.3. Tutti i profili sono privi di pregio.

In primo luogo, deve essere disattesa la pretesa omissione delle censure dell’appellante.

La censura è generica dato che l’appellante non specifica esattamente quali doglianze sarebbero state omesse.

Inoltre la censura è comunque infondata. La sentenza impugnata, nelle sue ben 51 pagine, affronta compiutamente tutti gli aspetti realmente rilevanti ed inoltre, esattamente approccia i diversi decreti commissariali nella loro concreta complessiva inscindibile consequenzialità temporale.

Come sarà meglio evidente anche in seguito, in un settore lasciato per troppi anni privo di una reale pianificazione funzionale e finanziaria, il processo di riassetto della situazione dei laboratori è stato un “work in progress” per cui i diversi provvedimenti, via via succeditisi, erano necessariamente collegati indissolubilmente.

Al riguardo, se l’appellante ripete le medesime argomentazioni per contestare in blocco il percorso di riorganizzazione e di riassetto è evidente che, per il principio di economia dei mezzi giuridici, le medesime argomentazioni del giudice dirette a respingere una prima volta le doglianze dirette avverso il primo atto, valgono anche per gli identici profili identicamente riproposti avverso i nuovi provvedimenti succedutisi negli anni successivi.

Nel merito, la Sezione ha sottolineato come spetta ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale, la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni (cfr. Consiglio di Stato sez. III 04 febbraio 2016 n. 450).

Per questo appare del tutto priva di pregio logico e giuridico la pretesa dell’appellante di coinvolgimento degli enti esponenziali delle categorie, cioè proprio dei soggetti che avevano ineluttabilmente contribuito a creare il gravissimo deficit finanziario e funzionale del settore connotato da un deficit annuo di oltre 1,5 miliardi di debiti fuori controllo e di una incontenibile esplosione dei costi.

Nel merito poi si ricorda che, gli atti di programmazione sanitaria e di macro-organizzazione, che costituiscono il primo bersaglio dell’appello, sono connotati da un’ampia discrezionalità e sono sindacabili in sede giurisdizionale negli stretti limiti della sussistenza di macroscopici vizi di illogicità o di arbitrarietà (cfr. Consiglio di Stato sez. III 07 dicembre 2017 n. 5780).

In tale direzione, come sarà meglio evidente anche in seguito, sul piano sintomatico appaiono complessivamente esenti le dedotte mende di eccesso di potere per violazione del principio di buona amministrazione ed economicità, disparità di trattamento ed ingiustizia.

Del tutto fuorviante è poi il riferimento alla pretesa necessità della “adeguata distribuzione territoriale del servizio” previsto dall’accordo Stato-Regioni, in quanto tale nozione non attiene alle modalità di produzione (diretta o meno) delle analisi, ma alla più ampia possibilità di accesso dei pazienti al servizio, la quale viene garantita comunque anche dai centri di (solo) prelievo.

Quanto all’inserimento di una soglia minima di produttività quale requisito per ottenere l’accreditamento, si deve concordare con la puntuale osservazione della Difesa Erariale quando ricorda che:

— l’indicazione della soglia minima dei 200.000 esami di laboratorio erogati all’anno da raggiungere entro il termine di tre anni figurava espressamente tra i criteri di accreditamento che erano stati inseriti nell’accordo Stato-Regione del 23 marzo 2011 — peraltro non espressamente impugnato dall’appellante — che per l’appunto prevedeva che “nei criteri di accreditamento deve essere previsto una soglia minima al di sotto della quale non si può riconoscersi l’idoneità del produttore accreditato e ha contratto la soglia minima proposta come riferimento e di un volume di attività di 200.000 esami di laboratorio complessivamente erogati/anno, prodotti in serie e non tramite service” (cfr. pag. 3);

— il criterio della “soglia minima di efficienza” era stato inserito nella modifica dell’articolo 8-quater del d.lgs. n. 502 1992 (introdotto con il d.l. n. 112/2008, conv. In L. 133/2008), che alla lettera “b)” espressamente prevedeva che “… la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia minima di efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili, deve esser conseguita da parte delle singole strutture sanitarie…”.

Del resto, come è noto, il criterio era stato introdotto in esito alle numerose iniziative dei NAS che avevano portato all’attenzione dell’opinione pubblica il fatto che, in molte regioni, l’utilizzo di reagenti di non frequente utilizzo hanno spesso compromesso i risultati delle analisi effettuate, con i connessi gravi rischi clinici per i pazienti e con un notevole danno economico per il servizio sanitario nazionale.

Pertanto deve escludersi, sotto il profilo dell’eccesso di potere, che la struttura commissariale avesse una qualche artata intenzione di danneggiare i piccoli laboratori, in quanto è evidente che i provvedimenti costituivano la puntuale applicazione di criteri condivisi con le autonomie regionali e fatti propri dal Legislatore in sede nazionale.

Sempre con riferimento alla censura dell’imposizione di un livello minimo di produzione, si deve osservare che è del tutto fuori luogo il richiamo al secondo comma dell’art. 41 e 42 del (peraltro poi abrogato) del D.lgs. n.163/2006, con cui si ponevano i principi di proporzionalità e ragionevolezza, sia perché tale settore concerne una concessione e non un appalto di servizi e sia perché, comunque, anche se fossero stati qualificati come appalti, questi avrebbero fatto capo ai servizi esclusi di cui all’II B (voce “25 Servizi sanitari e sociali) per i quali non si applicavano i predetti articoli.

Quanto alla pretesa assenza del dovere di provvedere si ricorda, al contrario, che la giurisprudenza ha sottolineato come, in una situazione di scarsità di risorse pubbliche, il carattere impellente delle esigenze di riequilibrio della spesa sanitaria impone allo Stato interventi correttivi immediati, con sacrifici posti a vario titolo su tutti coloro che sono presenti nello specifico settore di attività e quindi anche sulle strutture convenzionate. Queste ultime restavano libere di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte, o porsi fuori del servizio sanitario nazionale operando privatamente, a favore dei soli utenti solventi (cfr. Consiglio di Stato sez. III n. 450/2016).

Per quanto poi concerne la lamentata incompetenza del Commissario ad acta, vedi sub 5.§:2. .

In ogni caso la possibilità di ricorrere all’aggregazione delle strutture più piccole esclude sul piano logico l’affermazione, peraltro del tutto apodittica, per cui si sarebbe solo voluto favorire la posizione dominante di pochi laboratori.

3.§. Per ragioni di economia devono essere esaminate unitariamente la seconda (sub VII°), la terza (sub VIII°) e la quarta rubrica (sub IX°) che afferiscono a profili sostanzialmente connessi.

3.§.1. Con la seconda censura (rubricata sub VII ed ulteriormente articolata in modo alquanto singolare), si deduce l’illegittimità della motivazione del DCA n. 109/2013, come sostituito dai decreti successivi, per violazione e falsa applicazione della legge n. 296/2006.

A) Con un primo capo si contesta l’affermazione, a pagina 13 della sentenza, circa l’inammissibilità per genericità e per l’assenza di concrete ragioni ed altresì l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

B) Nella ratio della legge, il criterio dell’efficienza della soglia minima avrebbe dovuto rappresentare il presupposto per la riorganizzazione della rete ed il pre-requisito per l’accreditamento istituzionale, mentre la sentenza erroneamente l’avrebbe considerata un requisito ulteriore. Il nuovo assetto di rete avrebbe dato luogo ad un “aliquid novi” dal punto di vista organizzativo, ignorando che i laboratori ricorrenti sarebbero stati autorizzati e accreditati definitivamente con il servizio sanitario nazionale. Tra l’altro il decreto del commissario n. 109/2013 sarebbe stato pubblicato a seguito di verifiche per l’accreditamento istituzionale.

La soglia minima secondo un criterio di efficienza applicato a partire dal 13 gennaio 2014 sarebbe stata già accertata in precedenza per l’accreditamento definitivo, per cui:

a. le pregresse richieste di un fatturato con riferimento ad un periodo di attività dei laboratori relativo agli anni 2008-2012, non terrebbero conto che nel frattempo le strutture sono state adeguate, trasformate, trasferite, implementate.

b. la mancanza del requisito della soglia minima sarebbe iniqua in quanto si risolverebbe in una modifica che esclude strutture accreditate senza alcun indennizzo;

c. le eventuali aggregazioni erano consentiti solamente in base al momento dell’istanza di accreditamento.

C) La sentenza impugnata a pagina 15 ha dichiarato inammissibile, in quanto legata al merito delle azioni, la censura con cui si era affermato che i provvedimenti impugnati non avrebbero portato ad alcun miglioramento dell’efficienza ma ad un aggravamento delle prestazioni per la mancata disciplina delle modalità operative del servizio di trasporto dei campioni. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tar non si tratterebbe invece di censure attinenti al merito dell’azione amministrativa ma, al contrario, afferenti alla discrezionalità tecnica sindacabile attraverso l’utilizzo di una eventuale CTU che questo Giudice avrebbe potuto disporrre nel corso del giudizio. Inoltre tali valutazioni sono inevitabilmente collegate al progresso tecnico scientifico. In tal senso la qualificazione della discrezionalità come “tecnica” costituirebbe una ulteriore limitazione ai processi decisionali dell’amministrazione.

Si sarebbe quindi trattato di scelte carenti e illegittime.

D) Con ulteriore motivo, seppur non specificamente sotto-rubricato si lamenta l’incompletezza della disciplina del decreto n. 109/2013 nella parte in cui non regola le modalità di costituzione delle aggregazioni, i relativi rapporti tra di loro in relazione al fabbisogno territoriale; e comunque la illegittimità dell’obbligatorietà dell’aggregazione tra i diversi laboratori.

Inoltre il procedimento adottato a partire dal decreto n.109/2013 ha visto via via una disciplina sempre più restrittiva rispetto alle posizioni dei laboratori cosiddetti “sotto soglia”, compromettendo le modalità di formazione della volontà e incidendo sul diritto del contraddittorio e sul diritto di difesa.

3.§.2. Con la doglianza rubricata “sub VIII” si lamenta l’erroneità dell’affermazione del TAR per cui il modello di aggregazione tra i laboratori non sarebbe stato unico, e che il diritto di libera iniziativa del privato di cui all’art. 41 della Cost. ed il principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. non sarebbe stato limitato dalla normativa in esame. Il Tar Calabria (sentenza n. 2263/2015) avrebbe affermato che la Circolare del Ministero della Salute del 16 aprile 2015 avrebbe consentito la possibilità di svolgere l’attività in forma aggregata, mantenendo cioè la propria autonoma individualità.

3.§.3. Con la censura rubricata sub “XII si lamenta che il decreto n.83/2016 avrebbe mortificato l’attività professionale dei biologi che sarebbero limitati nello loro attività professionale in quanto avrebbe stabilito che, in caso di mancanza di requisiti della soglia minima, si sarebbe determinata l’incapacità operativa anche per le analisi private senza che vi sia alcuna norma a tale riguardo. Il decreto che introduceva l’obbligatorietà dell’accorpamento avrebbe ridotto i termini di libera scelta per l’esercizio dell’attività sanitaria. Erroneamente la sentenza avrebbe affermato che sarebbe mancata la libera concorrenza economica.

3.4. Anche sulla scia delle considerazioni che precedono, che qui possono semplicemente richiamarsi, tutti i profili devono essere respinti.

A parte la genericità e comunque la sopravvenuta carenza di interesse dei predetti profili, con specifico riguardo alla pretesa illegittimità del criterio dell’efficienza della soglia minima, può farsi direttamente riferimento ai precedenti in materia della Sezione, con cui si è esclusa la contraddittorietà e l’incongruità dell’operato della Regione laddove ha imposto ai laboratori di analisi accreditati di garantire un livello minimo di esami annui (cfr. Consiglio di Stato sez. III 19 luglio 2016 n. 3201).

Del tutto singolare poi appare la pretesa illegittimità della mancata regolazione delle modalità di costituzione delle aggregazioni tra i laboratori, in quanto giustamente si sono lasciate le singole strutture libere di costituire l’aggregazione come meglio ritenevano.

Al tal proposito è anche irrilevante sia la circostanza per cui le aggregazioni dovevano essere fatte al momento dell’istanza di accreditamento, sia l’affermazione della limitazione dell’operatività delle strutture accreditate senza alcun indennizzo.

Per ciò che concerne poi la circostanza secondo cui l’appellante sarebbe stata già accreditata, si deve ricordare che, come è stato già chiarito dalla Sezione, nel sistema sanitario nazionale, il sistema dell’accreditamento, di natura concessoria, non si sottrae infatti al preminente esercizio del potere autoritativo e conformativo dell’Amministrazione, ed assolve la funzione di ricondurre in un quadro di certezza il volume e la tipologia dell’attività del soggetto accreditato in concorso con le strutture pubbliche. Le prestazioni di assistenza del soggetto accreditato non avvengono in un contesto di assoluta libertà di iniziativa e di concorrenzialità ma, nella misura in cui comporta una ricaduta sulle risorse pubbliche, soggiace alla potestà di verifica sia tecnica che finanziaria della Regione ed a criteri di sostenibilità, nei limiti di spesa annuali (cfr. Consiglio di Stato sez. III 03 febbraio 2016 n. 436).

E’ poi esatto il rilievo del Tar per cui il dato storico della capacità operativa era stato legittimamente ancorato al fatturato. Si tratta infatti di un elemento da cui comunque si può rilevare anche il rapporto tra domanda ed offerta di prestazioni.

Il richiamo delle produzioni al 2008, non era stata un’estemporanea iniziativa della Regione, ma era probabilmente derivato dal fatto che il criterio era stato inserito nel 2011 con riguardo al triennio precedente nel ricordato Accordo Stato-Regione del 23 marzo 2011.

Né convince che, a partire dal decreto n.109/2013, la disciplina sarebbe stata sempre più restrittiva in danno dei piccoli laboratori e comunque inidonea a supportare le finalità dichiarate.

Le determinazioni impugnate appaiono del tutto ragionevolmente dirette alle ricordate esigenze di riorganizzazione dei servizi e di contenimento degli oneri.

Contrariamente a quanto ancora vorrebbe l’appellante, la doglianza nel merito appare comunque inconsistente dato che, come è notorio, proprio il complesso dei provvedimenti commissariali ha portato il Servizio Sanitario Regionale ad un positivo risultato economico, a partire dal 2016-2017, con sensibili miglioramenti anche del deficit pregresso.

Anche sul piano funzionale, l’espressa previsione della possibilità dei laboratori di far luogo ad aggregazioni di laboratori “sotto-soglia” appare una scelta ispirata, e giustificata, dall’esigenza di consentire alle strutture minori di restare sul mercato, sempre previa autorizzazione e nel rispetto del fabbisogno.

Da un punto di vista logico-sistematico, la previsione appare del tutto ragionevole in quanto risponde anche all’esigenza di porre dei limiti ai fenomeni di eccessiva concentrazione, né vi sono prove dell’inadeguatezza di tali strutture in rapporto al fabbisogno territoriale.

Sulla scia di queste ultime considerazioni va respinta anche la terza rubrica, relativa alla pretesa istituzione nel settore delle analisi di laboratorio di un sistema di sostanziale monopolio pubblico in ambito provinciale.

Non si ravvisa alcuna lesione del principio comunitario e nazionale della concorrenza a tal proposito, in quanto ex art. 106, par. 2, T.F.U.E., l’ordinamento comunitario non vieta in via di principio la costituzione di monopoli pubblici, in materia di servizi d’interesse economico generale, imponendo piuttosto che le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale siano sottoposte alle regole in tema di concorrenza, ma solo “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”(cfr. Consiglio di Stato sez. VI 07 febbraio 2014 n. 585).

Non vi è stata poi alcuna limitazione dell’attività professionale in materia, dato che, nel Sistema sanitario nazionale, l’atto concessorio eleva la struttura privata ad organismo abilitato ad erogare prestazioni nell’interesse del suddetto Servizio e con spesa a carico dello stesso che, in conseguenza, concorre al servizio sanitario nei limiti assegnati dall’accordo contrattuale, in base a scelte discrezionali della Regione che investono sia il riparto della prestazioni fra strutture pubbliche e private e sia le relative modalità (cfr. Consiglio di Stato sez. III 16 aprile 2014 n. 1925 cit. ).

Infine non si condivide poi che attraverso l’utilizzo di una CTU si sarebbe potuto accertare che le scelte qui impugnate sarebbero state carenti e illegittime, essendo evidente il rischio di violare, per tale via, il limite esterno della giurisdizione amministrativa.

4.§. Con il quinto motivo (rubricato sub IX) si lamenta il difetto di motivazione della sentenza che ha dichiarato improcedibile la censura diretta verso il precedente decreto n. 45/2014 (che aveva fissato il costo ad € 4,81) perché successivamente con il successivo decreto n. 59 del 25 maggio 2015 il costo era sceso a € 4,48, calcolando come “costo medio” delle prestazioni di laboratorio per il triennio 2010 2012 il fatturato di tutte le strutture laboratoristiche diviso per il numero delle prestazioni erogate.

Tale meccanismo, in violazione dell’accordo Stato-regioni, avrebbe messo insieme prestazioni di servizi A1 e di A2 (cioè prestazioni di base) e prestazioni di alto costo ma di basso numero nei settori della genetica o della chimica clinica e tossicologica.

Il TAR avrebbe anche ritenuto infondata (a pagina 18) la censura senza motivazione e senza tenere conto che per le prestazioni dei laboratori di base sarebbe stato individuato un costo medio per la tipologia A doppio rispetto al costo reale di tali analisi, che sarebbe stato pari ad € 2,75.

I decreti impugnati avrebbero creato illogiche discriminazioni tra i vari laboratori ed avrebbero violato l’articolo 41 e l’art. 32 della Carta Costituzionale.

Anche tali profili vanno disattesi.

Come visto al punto che precede del tutto trasparente appare l’assunzione a parametro del fatturato, in quanto costituisce un elemento certo ed inequivocabile come tale incontestabile.

Anche il metodo utilizzato non appare in astratto manifestamente illogico essendo teso ad individuare dei valori medi. In tal senso, come per ogni calcolo, legittimamente il decreto prende a parametro, sia prestazioni di base con grandi numeri e sia servizi di bassi numeri totali ma di alto costo.

Per l’appellante l’inclusione delle prestazioni di alto profilo per pochi servizi sarebbe illegittimamente dannosa, rispetto al computo della soglia minima di operatività, e non avrebbe tenuto conto del fatto che l’interferenza inversa del rapporto tra prezzo/quantità tende a mediare la relativa incidenza ponderale.

In questo, l’evocazione del costo medio pari al doppio del costo di euro 2,75 per la tipologia A, appare del tutto suggestiva, in quanto l’appellante non dà alcun conto della reale incidenza percentuale di quest’ultimo dato sul totale dei valori.

Né si ravvisa alcuna violazione degli artt. 41 e 32 Cost. in quanto anche il Giudice delle leggi (cfr. Corte cost. 26-05-2005, n. 200) ha rilevato che, nonostante l’accentuarsi enfatico del principio di concorrenza e di parificazione, le necessità connesse al contenimento della spesa pubblica di settore impongono alle Regioni di garantire il diritto alla salute di ogni persona nell’ambito della programmazione finanziaria.

Per il medesimo ordine sostanziale, connesso con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, sono state dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni statali e regionali e delle differenti misure per i laboratori di analisi (cfr. Cons. Stato Sez. III, 16-06-2015, n. 3011; idem Cons. Stato n. 3009/2015; Consiglio di Stato sez. I 26 febbraio 2013 n. 3490).

5.§. La sesta rubrica di doglianza (di cui al punto n. X dell’appello) è diretta avverso i decreti n. 8 e 17 ed è ripartita in vari profili che appare utile esaminare partitamente.

5.§.1. E’ infondato il profilo di cui alla lettera A) con cui si lamenta l’illegittimità del decreto n. 8/2015 perché sarebbe stato adottato successivamente alla scadenza dell’anno solare 2015 di riferimento, in modo tale da non consentire l’attribuzione di un budget compatibile con le potenzialità della struttura e con le effettive esigenze della popolazione di riferimento.

Al contrario la giurisprudenza ha sempre affermato che i “tetti di spesa sanitaria” indicano, per l’appunto, i volumi massimi invalicabili di prestazioni remunerabili dal Servizio sanitario regionale (SSR) e sono posti al fine di realizzare insopprimibili esigenze di equilibrio della finanza pubblica nonché di razionalizzazione delle articolazioni sanitarie pubbliche e private, così, anche quando sono fissati dalle regioni nel corso dell’esercizio finanziario, dispiegano comunque i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate dalle strutture sanitarie (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Ad. Plen. 3 aprile 2012, n. 3, id., 12 aprile, n. 4, Consiglio di Stato, sez. III, 7 marzo 2012, n. 1289; 23 dicembre 2011, n. 6811; 7 dicembre 2011, n. 6454; 17 ottobre 2011, n. 5550; 29 luglio 2011, n. 4529; sez. V, 8 marzo 2011, n. 1431; 28 febbraio 2011, n. 1252).

Sotto altro profilo non si concorda con la pretesa illegittimità e vessatorietà delle regole quali la clausole di salvaguardia, la mensilizzazione dei pagamenti in base al tetto, gli sconti tariffari, le tariffe sociali, la mancata remunerazione delle prestazioni rese extra-budget.

Si tratta infatti di profili ragionevolmente e concordemente diretti al riequilibrio funzionale del settore.

5.§. 2. Inconsistente è poi la censura sub B) per la quale il decreto commissariale n.17/2017 sarebbe illegittimo per l’inesistenza di una norma che attribuisca al commissario il potere di imporre l’immediato accorpamento dei laboratori a pena della chiusura, anche con riferimento ai diritti costituzionali di cui agli articoli 18-4-35 e 41 della Costituzione.

Contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante esattamente il primo giudice ha fatto riferimento all’articolo 1, comma 796 lettera o) della legge n. 296/2006. Inoltre l’art. 2, comma 83, della L. 23 dicembre 2009 n. 191, attribuisce al commissario “ad acta” la facoltà di adottare tutte le misure indicate dal piano di rientro dai disavanzi sanitari, né in tale ottica vi si ravvisano i dedotti profili costituzionali, in quanto sono tutti atti e provvedimenti amministrativi, organizzativi e gestionali presupposti, correlati e necessari alla completa attuazione del predetto piano (cfr. in tal senso anche Corte Costituzionale 12 dicembre 2014 n. 278).

Inconferente infine appare la doglianza con cui si lamenta che il Commissario avrebbe ignorato che la V° Commissione consiliare del Consiglio Regionale si era espressa in senso contrario all’accorpamento.

Infatti l’ordine del giorno approvato dai consiglieri regionali, a tutto voler concedere, costituiva un atto facoltativo di carattere assolutamente non vincolante per la struttura commissariale.

5.§. 3 Inoltre del tutto contraddittoriamente il Tar avrebbe motivato sull’inesistenza del programma delle attività territoriali, della valutazione del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale delle strutture presenti.

Anche a tale proposito l’appellante ripete, ancora una volta, le censure di cui ai precedenti punti e lamenta la disparità di trattamento dei laboratori privati che operano al di sotto delle 200.000 prestazioni rispetto a quelli con prestazioni maggiori (cfr. pag.32) per cui anche a tale proposito si rinvia al quanto sopra.

La fissazione di limitazioni alla spesa sanitaria a livello regionale è stata ritenuta, in via di principio, legittima, date le insopprimibili esigenze di equilibrio di bilancio e di razionalizzazione della spesa pubblica e tenuto conto che il diritto alla salute, sancito dall’art. 32, Cost. non può essere tutelato incondizionatamente (cfr. Consiglio di Stato sez. III 21 febbraio 2012 n. 937 )

Quanto alle pretese carenze della programmazione territoriale, anche in questo caso si tratta di un’affermazione generica e priva di supporti probatori.

In ogni caso, nel contemperamento tra il diritto alla salute e la tutela dell’iniziativa imprenditoriale privata occorre assicurare il complessivo equilibrio economico finanziario del sistema sanitario regionale pubblico e privato, di cui al d.lgs. n. 502/1992 (Cons. Stato Sez. III, 16-06-2015, n. 3011).

5.§.4. In coerenza con le argomentazioni di cui sopra deve essere disatteso l’ulteriore profilo (non numerato ma comunque rubricato in grassetto maiuscolo) con cui si assume genericamente l’erroneità e l’incomprensibilità della motivazione laddove si esclude la configurabilità di sperequazioni a danno dei laboratori privati in favore di quelli pubblici che avrebbero un indice di produzione inferiore,

6.§. Infine con l’ultima censura rubricata sub “XII” si lamenta il difetto di procedura perché dopo la notifica degli ultimi motivi aggiunti, la decisione non sarebbe stata preceduta da un decreto di fissazione per la camera di consiglio e per l’udienza di merito.

Anche tale addebito è infondato.

Nel sistema di giustizia amministrativa — fatta salva la ricorrenza di esigenze, tempestivamente allegate, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti ovvero di situazioni oggettive in presenza delle quali il rinvio dell’udienza è sempre doveroso — i principi di concentrazione del giudizio, della ragionevole durata del processo ed il principio dispositivo impongono che una volta che sia stata fissata, ai sensi dell’art. 71 c.p.a.. l’udienza di discussione del ricorso introduttivo non vi è alcuna necessità né di un’autonoma domanda e né di un autonomo decreto di fissazione dell’udienze di discussione dei singoli ulteriori atti di motivi aggiunti

Non esiste infatti alcuna norma giuridica o principio di diritto che attribuisca al ricorrente che introduce ulteriori motivi aggiunti il diritto al rinvio della discussione del ricorso.

In tali casi, si devono evitare artate richieste di dilazioni del tutto ingiustificate, mentre al contrario si deve perseguire il contenimento dei tempi processuali che è un valore tutelato dall’art. 111 della Costituzione.

7.§. In conclusione, dalle soprariportate considerazioni è dunque evidente che tutti i motivi d’appello variamente proposti, articolati e ripetuti sono complessivamente tutti infondati.

Per l’effetto la sentenza impugnata merita integrale adesione.

Le spese, in relazione all’attività difensiva prestata dalla entità delle questioni proposte con un unico mezzo di gravame, sono liquidate come da dispositivo in favore delle amministrazioni statali resistenti.

Possono invece essere compensate con l’ASL che si è costituita solo formalmente in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando:

1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto

2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono di complessivamente liquidate in favore della Difesa Erariale in €6000,00 oltre agli accessori come per legge. Compensate con l’ASL Salerno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere

Giorgio Calderoni, Consigliere

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